“…A che vale se la luna – la bianca luna
diffonde la pienezza del suo meriggio?
Il suo sorriso è gelido – il suo raggio
in quel desolato tempo m’apparirà
( così simile a quello che può cogliersi in vita) come un ritratto eseguito dopo la morte…”
da Tamerlano di E. A. Poe
di Piero Colombani
Sono certo che è l’opposizione tra l’oscura nebbia dei regni ctoni e l’aurea luce che illumina i saggi ad adombrare il cammino che Parsifal sta percorrendo verso il Castello delle Meraviglie. Mai riuscirò a trovare la porta verso settentrione da cui si accede al Castello Invisibile. Un tempo la regina degli Elfi mi aveva fatto dono di una mappa scritta in antico alfabeto runico, che io con insensata presunzione credevo di poter tradurre. Sono solo riuscito ad analizzare le configurazioni, le allegorie e i numerosi disegni degli Antichi Saggi.
Quel poco, mi è apparso subito alla mente di una chiarezza cristallina: avevo forse trovato la Vera Via che conduce a quel Castello Incantato ove rinascono le antiche ere e la Bianca Regina ti lava le piaghe con acqua miracolosa? Mi è apparsa così spendente nel buio circostante che, al confronto, l’astro che illumina il mattino è una evanescente e opaca luminosità.Mi assale però un dubbio ossessivo come un tarlo quando scava: sarà lei la vera fonte dell’Haoma o del veleno di scorpione? E se non fosse la castellana di questa dimora fatata? Quale sirena dell’oceano infinito potrebbe raggiungere vette così lontane, per ingannare un grigio pellegrino mentre sale sempre più in alto per osservare una falce di luna. Questo è un enigma: il mio labirinto da cui sarà quasi impossibile uscire. Più si illumina il cammino e più si intrecciano le strade, le vie si moltiplicano! Forse ho guardato la luce lunare troppo intensamente, quando ero ero avvolto dalł’ombra giù nelle profondità dell’antro. Devo osservare più attentamente il cammino nei Regni Oscuri e non farmi ingannare dai suoi mutevoli chiarori. Così, addentrandomi con dilemmi, incertezze e irremovibili grigiori lungo uno stretto cunicolo, mi ritrovai in una larga cavità illuminata soltanto dalla mia illusione.Era forse un antro? Dal luccichio dei cristalli sulle pareti e dal sapore delle mie dita poteva essere una grotta di sale.

La malattia (vecchio ammalato), 2000
matite colorate e biacca su cartone preparato, cm 24×37,5
collezione dell’autore
Davanti a me vidi una pozza d’acqua, sembrava viva, animata da qualche corrente profonda, provo a toccarla e mi accorgo giusto in tempo che è acqua acida, acqua corrosiva. Mille pensieri turbinano nella mia mente stanca, provata, e mi dico: sarà quell’acqua la chiave per uscire alla luce, o devo innevitabilmente uccidere il Drago che si sta destando giù, in qualche profondo budello roccioso e oscuro? Ho visioni: una fonte di zolfo ricolma di infinite vanità, scorie di impulsività e il tartaro rimane pesantemente ammassato sul fondale di se stesso. Devo filtrare quelle impurità che hanno ingannato anche gli antichi Angeli Vigilanti. So con certezza che sarà una impresa titanica, le acque di fuoco sono troppo pericolose. Devo seguire la stretta via degli Antichi e affrontare il Nero Drago, che a molti appare nelle sembianze di una donna in metamorfosi con la rana? Riuscirò a domare il Sacro Leone Verde e lo potrò cavalcare a mio volere, come un docile destriero. Secondo quanto è scritto in vecchie pergamene: a colui che cerca, la visione del Leone color del bosco, trascenderà ogni cosa, infonderà nell’animo una più sottile capacità percettiva. Sarà aperto a lui la Conoscenza del Potere di Luce. In quel preciso istante la grotta simile ad un pilastro vuoto, che ora è mia prigione oscura e inviolabile, cambierà consistenza. Il tempo, lo spazio, si dilateranno fuori di misura e libero sarà il mio percorso. Le mura di pietra diveranno impalpabili come la neve e finalmente sarò libero di salire dove giace distesa la Dama del Mattino… improvvisamente dei ruggiti infernali mi richiamano alla realtà e armato con una sola lancia, mi avvio verso il più profondo degli antri: Il Drago si sta risvegliando.
Dipinto: L’ultimo tramonto
Immobile come un antico reperto, un arcaico monumento di pietra, che gli studiosi non riecono a datare e a darle una benchè approssimata appartenenza razziale: è lì una testa mozzata, in balia delle usure ed ammaccature temporali impietose come i suoi carnefici. Sarebbe bastato un soffio di vento e una manciata di terra, per nasconderla al mondo, nessuno l’avrebbe mai notata o quantomeno sarebbero trascorsi molti più anni prima del suo ritrovamento. Invece, con la bocca contratta, sembra ghignare al mondo intero lucida come un blocco di ossidiana.

Il volto in una foglia, 2000 Sanguigna e tempera con lumeggiature di biacca su cartone
preparato, cm 26×26
collezione dell’autore
L’immobilità di questa testa è millenaria, come lo sono i silenzi che regnano nelle dimore sotterranee quei lontani reami sono invalicabili cancelli che colui che non sa vede oltre la nera consistenza dell’apparente immobilità. Quella testa ci indica la via della luce: dalle tenebre guarda un tramonto infuocato, ci indica forse la via? Un tempo apparteneva ad un corpo gigantesco che imprigionava la sua luce divina, ora libera di illuminare quella stessa testa che per millenni è stata la sua prigione.
Bagliori di un fuoco libero, caotico e distruttore, tingono di rosso cupo il fondo nero della tavola: la testa sa che quella luce ha ancora molto cammino per purificare la sua fonte vitale dalle scorie esplosive e sulfuree che ne deturpano l’essenza. Uscita dalla pesante prigione, l’accecante, diventa caotica energia; è solo apparente e illusoria la libertà di poter contemplare dall’alto il proprio immobile corpo, apparso lì come un rifiuto gettato da un treno in corsa. Il bianco candore della tua vera essenza sta al di là di quelle lontane ruote infuocate, uno scorpione fermo su un sasso si tempra con la tua luce.